La cucina coreana, come molte cucine asiatiche, è una cucina conviviale e prevede piatti condivisi anziché un piatto per ciascun commensale.
Vengono sempre serviti dei piccoli piatti, anche questi in condivisione, che precedono e accompagnano i piatti principali. Dai 2 agli 8 piattini, a seconda del ristorante e del numero di persone.
Funghi e verdure fermentate la fanno da padrone in questo caso, con il famoso kimchi (cavolo fermentato e piccante) che non manca mai.

A questi piccoli piatti si aggiungono poi delle grandi marmitte o pentole che contengono le portate principali. Non c’è una regola precisa sull’ordine o sugli accostamenti da fare, con le bacchette o col mestolo, si prende un po’ di cibo da un piatto e lo si porta nella propria scodella, si fanno due bocconi e poi si ricomincia.


Molte delle ricette includono un fornellino sul tavolo, un po’ come si fa con la fondue svizzera, ma in questo caso la pietanza è un po’ più elaborata. Ad esempio può includere il polpo, come in questo ristorante di Seoul in cui siamo stati e che è specializzato in ricette di polpo. In effetti non c’era un piatto che non lo includesse.


Oppure può includere il pollo, come nel famoso e popolare (in tutti i sensi) dak baeksuk, per cui in un enorme pentolone si cuoce un pollo intero ogni 2 persone. Nel brodo poi si aggiungono verdure, noodles o gnocchi di riso a volontà.


Per quanto riguarda il bere, servire l’alcool a tavola è molto comune in Corea. La bevanda alcolica nazionale è il Soju, è ricavato dal riso ed è piuttosto forte, si aggira sui 15°. È consumato in bottigliette di vetro da circa 30 cl e dalla forma abbastanza riconoscibile.
Se avete visto delle serie tv o dei film coreani l’avrete di certo notato e il modo in cui viene servito assomiglia un po’ a un rituale: per tradizione non si versa mai nel proprio bicchiere se non prima di aver versato in quello dell’altra persona.
